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[HCV nei malati di AIDS]

L'HCV NEI MALATI DI AIDS

Nel mondo, si stima che vi siano circa 170 milioni di persone con infezione da HCV, e oltre 40 milioni di persone con infezione da HIV. Negli Stati Uniti, le stime relative ai pazienti con infezione da HCV e da HIV sono rispettivamente di 4 milioni e di 750.000 casi; sempre negli Stati Uniti, si stima che circa 300.000 persone abbiano la duplice infezione HIV/HCV. 
Questa elevata prevalenza di coinfezioni è verosimilmente dovuta al fatto che questi due virus hanno in comune le medesime modalità di trasmissione, principalmente quella mediante scambio di sangue infetto. Dopo una puntura con un ago contaminato l'HCV si trasmette 10 volte più facilmente rispetto all'HIV, ed inoltre l'infezione da HCV avviene precocemente dopo l'inizio della tossicodipendenza, con circa il 60-90% dei pazienti che contraggono il virus entro 6-12 mesi. 
Circa  l'80-90%  dei  tossicodipendenti  cronici  risultano  positivi per l'HCV, mentre il
15-20% risultano HIV positivi.
La trasmissione sessuale è invece un fattore di rischio maggiore per l'HIV, dato che la trasmissione dell'HCV può capitare in modo molto più raro. Nei pazienti con cirrosi, l'epatocarcinoma si sviluppa nell'1-4% dei casi ogni anno. 
Dal 1994 negli Stati Uniti l'HCV è la principale responsabile dei trapianti di fegato. L'HIV influisce negativamente sulla evoluzione dell'infezione da HCV; durante la coinfezione risultano infatti aumentate la carica virale di HCV, il tasso di progressione verso la fibrosi e la cirrosi, ed infine la mortalità correlata all'HCV. l'HCV va ormai considerato a tutti gli effetti come una vera e propria infezione opportunistica, e per tale motivo questa patologia è stata inserita nelle ultime linee guida per la prevenzione delle infezioni opportunistiche pubblicata dalla Infectious Diseases Society of America. 
Sono state indicate le seguenti misure per la prevenzione:
- tutti i pazienti HIV positivi dovrebbero eseguire lo screening per la ricerca dell'HCV;
- i pazienti dovrebbero essere avvisati circa l'effetto peggiorativo sulla epatopatia dell'uso di alcol; 
- i pazienti dovrebbero eseguire lo screening per la ricerca degli anticorpi contro il virus dell'epatite A, e se risultano negativi dovrebbero essere vaccinati;
- la malattia epatica va sempre attentamente considerata, e deve essere valutata la possibilità di eseguire un trattamento specifico;
- gli indici epatici (le transaminasi) devono essere attentamente monitorate.
I virus HIV ed HCV hanno molte caratteristiche in comune, vi sono tuttavia alcune differenze molto importanti, fra le quali il fatto che l'epatite da HCV, contrariamente all'infezione da HIV, attualmente può essere curata, e non è comunque vista sempre come inevitabilmente progressiva.
Solitamente, nei pazienti coinfettati, viene iniziata prima la terapia per l'infezione da HIV, in quanto questa è ritenuta più rapidamente progressiva rispetto all'epatite C.
In alcuni casi però può essere preferibile iniziare prima il trattamento per l'HCV, come per esempio nel caso in cui l'infezione da HIV sia stabile (CD4 > 350-500) e vi siano segni di malattia epatica avanzata. In questi caso il trattamento andrebbe impostato come nei pazienti HIV negativi, con l'obiettivo primario di sradicare l'infezione da HCV. 
Se i CD4 sono < 200, l'obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre la carica virale dell'HCV, di normalizzare le transaminasi e di ridurre il rischio di progressione verso la cirrosi.
Tutti i pazienti HCV positivi dovrebbero essere valutati per una "stadiazione" della epatopatia e per un eventuale successivo trattamento. Indipendentemente dallo stato dell'infezione da HIV, i pazienti dovrebbero essere informati circa le modalità di trasmissione dell'epatite C e sulle sostanze che possono peggiorare l'epatopatia (come per esempio il vino e gli alcolici).
Il modo migliore per stabilire l'entità della epatopatia è senza dubbio quello di eseguire una biopsia del fegato; il trattamento è fortemente consigliato se la fibrosi è >2, indipendentemente dal genotipo, mentre se la fibrosi è 0-1, specialmente con genotipo 1,allora può essere opportuno attendere monitorando periodicamente la funzione epatica.

Fonte: Ansa (01/09/04).

 
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Aggiornato al 28 agosto 2014