CONDIVISIONE
PSICOLOGICA SULL' HCV NELLA COPPIA E IN FAMIGLIA. Dopo
l'apprendimento di una brutta notizia, specie se relativa alla nostra
salute, emergono nella nostra mente pensieri "pessimistici",
raramente positivi e/o ottimistici. L'incredulità, il dispiacere, il
pessimismo, la rabbia sono tutte emozioni che inizialmente prendono il
sopravvento specie se trattasi di HCV (epatite C), un'infezione virale
contratta da un'altra persona, che involontariamente (o
volontariamente) ci ha contagiato.
L'iniziale sorpresa lascia posto al "rifiuto" e alla non
accettazione della malattia, oppure alla rabbia e alla vendetta, o al
risentimento e/o ritorsione. Specie poi se si tratta di contagio
avvenuto tramite un partner (sia esso occasionale o fidanzato,
convivente o coniuge). Tutto ciò rischia di "minare" e il
più delle volte anche scindere l'unione di coppia, quel peculiare
equilibrio che in genere si instaura in un rapporto stabile, tra due
persone che dicono di amarsi...per sempre.
L' HCV non è una patologia tumorale, che ti può capitare in
qualunque momento della vita, ma è un subdolo virus, asintomatico,
che una volta penetrato nell'organismo si "annida" nel
fegato; e se non curato in tempo, con il progredire degli anni può
evolversi in cirrosi epatica o in rari casi, nell'epatocarcinoma e
quindi essere letale. Dopo l'avvenuto contagio ed in particolare nel
primo mese dall'esito del referto, in ogni malato avvengono "2
fasi" piuttosto complesse e delicate di reazione:
1) l'iniziale "sorpresa",
l'incredulità e l'ipotesi che il test sia stato eseguito in modo
errato, con la possibilità di un "falso" positivo, genera
"confusione" mentale provocando una "visione
onirica" di ciò che il malato vorrebbe sentirsi dire, con frasi
del tipo: "il test è stato ripetuto ed ha dato esito negativo,
ci scusiamo dell'errore..." in questo modo, per circa 30 giorni
si vive una situazione di "limbo" e di aspettative, però
dopo la ri-avvenuta conferma della positività del test, provoca
specie in individui più sensibili, una sorta di sconforto, di crisi
ansiogene e/o in alcuni casi anche depressive, che causano insonnia,
irritabilità, nervosismo, cefalea, herpes ed altre patologie
psicosomatiche, che rovinano la qualità di vita del malato.
2) In questa "2 fase" dovrebbe
avvenire l'accettazione e consapevolezza della patologia, che deve
essere curata, ma non in tutti i malati accade in modo celere, per
alcuni di loro possono occorrere da poche settimane a molti mesi.
Dato che ogni individuo possiede una propria personalità, purtroppo
può capitare che si sviluppi nella mente del malato, una sorta di
"pessimismo", di diffidenza verso le terapie interferoniche
o di "indifferenza" e conseguente trascuratezza (alcuni
malati preferiscono non pensarci e adottano la reazione dello
"struzzo", ovvero il negare la realtà). Invece, in altri
malati l'accettazione della malattia fa emergere un desiderio
"spasmodico" di guarire in fretta e senza subire troppi
effetti collaterali, e magari, di vivere questa "parentesi"
di vita, in modo ironico e ottimista, al punto tale da comunicarlo al
partner ironizzando su tutto ciò che gli capiterà e in rari casi,
addirittura supportando il/la partner più sensibile, infondendo
coraggio e determinazione anzichè riceverli. Quest'ultima reazione
appena descritta è senz'altro più positivamente valida ed efficace
rispetto alle altre, però è anche quella più difficile e rara da
attuarsi, che presuppone una personalità ben equilibrata, forte,
tenace, determinata, che possiede un'alta autostima e fiducia in sè
stessi e nella scienza.
Complimenti a parte per coloro che si reputano tali, la mia
amichevole condivisione che tra poco leggerete la dedico a tutti quei
malati che non possiedono tali capacità personali.
Nel nostro specifico caso, quando Max mi comunicò tale referto, con
voce quasi afona, tremolante e senza guardarmi negli occhi, compresi
che si trovava in stato di "shock", di incredulità e di
timore (soprattutto di perdere il mio supporto e amore). Dopo
l'elaborazione di tutto ciò che gli stava capitando e la decisione
sul da farsi; lo vidi cambiare atteggiamento e umore, diventò
nervoso, aggressivo, arrabbiato sul "chi", "come",
"dove" e "quando" potesse averlo contagiato
(considerando che non aveva mai fatto uso di sostanze stupefacenti,
droghe o altro e nemmeno avuto rapporti intimi con altre partners).
Giunto alla conclusione che il suo contagio fosse avvenuto dopo uno
degli innumerevoli interventi chirurgici subiti in epoca
adolescenziale, la sua caratterialità ritornò ad essere quella di
sempre, ma la preoccupazione, il dispiacere e timore di avermi
eventualmente contagiata o il rischiare di contagiarmi non lo fece
vivere serenamente per molti anni. Solo nel momento in cui lesse il
referto: "negativo", ritornò ad essere il caro Max che
avevo sempre apprezzato e sposato.
Convivere con un malato di HCV non è affatto semplice, anzi, è una
situazione abbastanza complessa che implica una buona dose di
pazienza, disponibilità, comprensione, dolcezza, tolleranza e un
pizzico di ironia, una sorta di ottimismo e caparbia determinazione
associati ad amore incondizionato, in particolare durante la terapia
interferonica, nella quale, tra i vari effetti collaterali sono
preponderanti gli sbalzi del tono dell'umore, quali l'irascibilità,
suscettibilità, ipersensibilità, emotività, nervosismo (anche per
inezie) e in alcuni casi addirittura crisi d'ansia o di depressione.
Per fortuna tali effetti collaterali, con "l'ultima
generazione" di interferoni commercializzati, sono risultati
molto più "contenuti" rispetto ai primi.
Attualmente un'iniezione settimanale consente di essere meglio
tollerata, ma siccome ogni malato è unico, gli effetti collaterali
sono del tutto soggettivi e in rari casi addirittura inesistenti. Mi
è parso corretto condividervi quella che è stata la mia esperienza
personale di coniuge, che ha vissuto di "riflesso" la lotta
all'hcv di Max (per un totale di circa 18 mesi, sommando le 2 terapie
ifn. ed effetti collat. post terapia).
Questa mia condivisione spontanea e schietta intende essere un
"incentivo" e anche un supporto per tutte quelle coppie e/o
familiari, che si sentono "oppressi" da tale verdetto e che
non si sentono pronti e in grado di affrontare tutto ciò, dicendovi
che: "per ogni malato oltre alla cura tradizionale scientifica
(interferone + ribavirina) esiste una "cura miracolosa":
quella della vicinanza, della comprensione, del dialogo approfondito e
reale amore (o grande affetto e tenerezza, da parte di genitori che si
trovano con figlio/a HCV +) in modo da consentire il superamento
di tutti gli "ostacoli" che questa grave patologia
comporta!". Invece, ai malati HCV, amichevolmente dico:
"Non mollate mai! anche quando lo sconforto
e la tristezza vi assalgono.
Non dovete permettere al virus HCV di "vincere" la sua
"battaglia", perche' solo VOI dovete risultare gli unici
"vincitori !".
Questo è il mio speciale augurio di pronta guarigione!
Dr.ssa Diana di Help EpatiC. |