VIRUS MESSO ALLE CORDE...
Ringraziamo i gentili friends DAN1000 (per la propaganda di questo articolo)
e TINA per averci inviato il link del suddetto, pubblicato su
"Panorama.it" in data 21 Novembre 2003, dal titolo "VIRUS MESSO ALLE CORDE".
Una nuova molecola sembra capace di bloccare la moltiplicazione virale. Ora bisogna sperimentarla.
Per ora non ha un nome ma una sigla in codice: Biln2061.
È questa la nuova molecola che nei test di laboratorio e in esperimenti
sull'uomo ha dimostrato di essere in grado di bloccare l'attività di una proteina del virus dell'epatite C: la Ns3
proteasi, un'enzima essenziale perché possa svolgere il suo sporco lavoro.
La notizia è comparsa su Nature online e ha suscitato grande interesse.
Il farmaco somministrato per due giorni a pazienti infetti, con quattro
dosi da 200 milligrammi, ha talmente ridotto la moltiplicazione del virus
da renderne quasi non più rilevabile la presenza.
«Un risultato importante. Le persone su cui è stato sperimentato erano
infettate con il virus del genotipo 1, quello più resistente ai farmaci
e tra i più diffusi in Europa» afferma Massimo Colombo, che dirige il
Centro di epatologia al Policlinico di Milano.
«Ora la ricerca dovrà stabilire le dosi e la durata ideali della terapia,
e verificare che non sia tossica e non produca resistenza».
Con la molecola Biln2061 si aprono, secondo gli esperti, nuovi orizzonti
nel trattamento dell'epatite C, che oggi grazie alla combinazione di interferone
alfa e ribavirina, un antivirale, già guarisce un paziente su due.
I due farmaci abbinati vengono impiegati dal 1998.
Ora si sa che la loro efficacia dipende da più fattori: genotipo del virus,
carica virale, presenza di cirrosi, abuso di alcol e anche dal sesso:le donne rispondono alla terapia meglio degli uomini.
Se negli infettati con virus dei genotipi 1 e 4 la guarigione si ottiene
in metà dei casi, con i genotipi 2 e 3, più sensibili alla terapia, supera l'80 per cento.
La cura dura sei mesi con i genotipi 2 e 3, ma con l'1 o il 4 continua
per un anno. «Non tutti però possono intraprendere il trattamento, vuoi perché sono presenti altre patologie (si deve tener conto degli
effetti collaterali di questa terapia) vuoi perché la malattia avanzata
ha già ridotto troppo globuli bianchi e piastrine per usare farmaci tossici per il midollo osseo» ricorda Colombo.
Per questo l'impegno a trovare altri fronti sui quali attaccare il virus
è andato negli ultimi anni crescendo.
Si sono fatti grandi progressi, secondo l'epatologo, nonostante i limiti
alla messa a punto di nuovi farmaci per l'epatite C: è impossibile sviluppare il virus in vitro e sperimentare molecole potenzialmente efficaci;
e non esiste modello animale.
Solo gli scimpanzé si ammalano di epatite C, ma la ricerca su di essi,
oltre a essere dispendiosa, è regolata da leggi protettive che ne limitano
l'utilizzo.
«I vari inibitori degli enzimi virali allo studio che impediscono la replicazione del virus, tipo quelli usati contro
l'hiv nell'aids,
potranno costituire in un futuro non lontano una possibilità in più di
aggredire il virus su più fronti, riducendo il suo tasso di resistenza.
Sarà la terapia combinata di più farmaci probabilmente l'arma migliore
per sconfiggerlo» prevede Colombo.
Il virus dell'epatite C, identificato come non-A non-B negli anni 70, è trasmesso soprattutto attraverso il sangue.
Nel 1989 fu l'inglese Mike Houghton a scoprire nel plasma l'RNA del virus C,
virus che però non è mai stato fotografato.
«Una scoperta importante resa possibile da una nuova tecnica per individuare
le sequenze rna virali, renderle capaci di esprimere la proteina virale
specifica e di interagire con l'anticorpo virale specifico.
Una catena di reazioni che ha permesso di effettuare a Houghton oltre 900 mila test e quindi di arrivare alla scoperta del virus dell'epatite C»
racconta Colombo.
Il 3 per cento della popolazione italiana è portatore di anticorpi contro
il virus C, e di questi due terzi hanno l'infezione cronica in atto,per lo più senza saperlo.
Ciò avviene perché l'infezione non dà disturbi e può restare a lungo silente.
Nel 30 per cento dei casi acuti l'infezione guarisce spontaneamente, gli altri sviluppano un'epatite cronica con complicanze che vanno dalla
fibrosi alla cirrosi, o ancora al carcinoma epatico.
In Italia su 6.500 tumori al fegato l'anno oltre un terzo sono causati
dall'epatite C. Insomma, ci sono solide ragioni per sviluppare nuove terapie capaci di debellare il virus. Fonte:
Panorama.it (21/11/03).
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